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Nfl, l'ultima impresa di Peyton Manning: far diventare i Broncos la prima squadra d'America

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1 - Tabella Squadre Schermata 2014-10-20 alle 19.03.25

Una volta erano i Dallas Cowboys. Ora sono i Denver Broncos. Parliamo della squadra più popolare degli Stati Uniti d'America. Un sorpasso che, nel suo genere, ha del clamoroso. Un altro miracolo di un "vecchietto" con una brutta cicatrice dietro al collo e mille battaglie sulle spalle chiamato Peyton Manning. Un tale campione da orientare in modo massiccio le simpatie del pubblico e di stravolgere gerarchie che duravano da tempo.

Nel sondaggio Harris Interactive, dunque, il cavallo bianco di Denver con la criniera color arancio guida la hit dei team più amati e sbaglia chi crede sia soltanto una questione di risultati. Tra le prime cinque solo due squadre hanno fatto i play off nel torneo scorso: Denver, appunto e Green Bay (sul terzo scalino del podio). Le altre non vengono da una stagione memorabile, parliamo dei New York Giants (secondi), dei Cowboys (scivolati al quarto posto) e dei Pittsburgh Steelers (quinti).

FOTOGALLERY1/LA CLASSIFICA DI TEAM E MAGLIE DA GIOCO

FOTOGALLERY 2/ SBARCA IN ITALIA LA MODA NFL

L'icona Manning conta, eccome. E neppure la batosta subita al Super Bowl da Russel Wilson e compagni ha intaccato la "popolarità" della franchigia che da tre stagioni ne ospita le gesta (e i memorabili record).

BRONCOS

A proposito di Seattle, è fuori dai top five nonostante il fresco titolo ma va detto che ha recuperato diverse posizioni nella classifica della simpatia passando dal 31esimo posto del sondaggio 2010 al 12esimo del 2013, per arrampicarsi sino alla sesta piazza attuale.

Con sorpresa vediamo solo al settimo e all'ottavo posto due team come i San Francisco 49ers e i New England Patriots di un altro "vecchietto" terribile, Tom Brady che, a questo punto, dobbiamo evincere, è nettamente meno amato negli States di Peyton Manning.

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Pubblichiamo qui la classifica completa e passiamo a un'altra hit, questa volta sulle magliette da gioco più vendute. Inevitabilmente ritroviamo Peyton Manning con la sua numero 18, ma non al primo posto. PM è secondo, preceduto da Russell Wilson, uno dei quarterback della nouvelle vague, capace di lanciare come di correre  in prima persona per conquistare preziose yard. Anche in questo caso pubblichiamo la classifica completa ricordando che, rispetto ai team, viene aggiornata di mese in mese.

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Sul tema maglie segnaliamo lo sbarco in Italia di t shirt, felpe e cappellini Nfl del marchio internazionale New Era, specialista nel settore. Non si tratta di abbigliamento tecnico, una esclusiva della Nike, ma di Nfl fashion, articoli per moda casual con i loghi di tutte e trentadue le squadre della National football league. Una buona notizia per gli appassionati che non dovranno più acquistare esclusivamente l'abbigliamento del grande football tramite internet sui siti nordamericani ma potranno farlo più semplicemente andando in uno dei negozi che distribuiscono New Era (tra l'altro sponsor del campionato italiano Ifl).  E anche un importante segnale di interesse da parte del mercato americano verso l'Italia e i suoi sempre più numerosi fan della lega dei touchdown.

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Mark Rypien, campione Nfl e di solidarietà: "I miei SB e la Fondazione che aiuta chi soffre"

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amarkHa vinto due Super Bowl. In Canada (è originario di Calgary) e in America è un campione ammirato e riconosciuto. Per la Redskins Nation qualcosa di vicino a un mito. Tuttora inseguito per un autografo, braccato per un selfie, intervistato dai network Usa per un parere sulla Nfl da strillare in prima pagina o in home page. Eppure lui, Mark Rypien, è la persona più semplice e disponibile che tu possa incontrare. Un uomo che ha raggiunto alte vette nella sua professione, il football americano, ma che sa bene quanto sia effimero tutto quello che va sotto il nome di successo perchè ha dovuto affrontare il dolore e le ingiustizie della vita. La più grave, se esistesse una classifica del genere: ha perso un figlio, piccolo, colpito da un male fatale. Ed è difficile immaginare di peggio. Mark non ha lasciato che la disperazione lo travolgesse e, adesso, dedica gran parte delle sue risorse alla fondazione che ha creato proprio per aiutare chi vive questi autentici drammi. Lo abbiamo intervistato durante la sua visita a Trieste, all'American Bowl Camp, dove ha insegnato l'arte del gioco che lo ha reso celebre, un altro grande colpo del trio composto da Riccardo Lonzar, Michele Ciak e Andrea Spagnoletto che ormai ogni estate portano in Ialia Campioni d'oltreoceano con la C maiuscola e splendide persone.

Mark Rypien, partiamo dai due titoli. Uno da comprimario (31 gennaio 1988, Redskins 42 - Broncos 10), il secondo da gran protagonista (Mvp nel match del 26 gennaio 1992: Redskins 37 - Bills 24).

Sì, proprio così. Il primo Super Bowl lo ho conquistato da backup. Ma è stato importante per me perchè ho capito esattamente che straordinaria e complessa esperienza fosse e tutto ciò mi è servito, eccome, in seguito, quando in campo c'ero io. E' stato molto utile poter avere quei ricordi e tutto il resto, utilissimo. Ero titolare per la prima volta in un Super Bowl, ma assolutamente cosciente di cosa dovessi fare.

Può descrivere l'esperienza Super Bowl?

Eh, parliamo di un evento di una grandezza assoluta nel suo genere, al punto che è difficile da spiegare, raccontare, descrivere. Dopo i figli, è la piu grande cosa che mi sia successa nella vita.

Ricordi quel SB da leader dei Redskins e quel successo, personale e di squadra.

Vincerlo è stato incredibile. E ancor di più perchè, molti non lo ricorderanno, quell'anno ero praticamente senza contratto, avevo firmato per una stagione con salario minimo, una sorta di "poi si vedrà", una scommessa. Vinta, direi, col senno di poi. La scommessa più vincente della mia vita, aggiungo.
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Vincere è sempre difficile, in quelle stagioni poi i talenti si sprecavano. Quali sono i suoi must in attacco e difesa di ogni tempo.

Nessun dubbio Barry Sanders per l'attacco e Lawrence Taylor per la difesa.

Lei ha avuto una lunga carriera, tuttavia leggendo il suo curriculum sembra nettamente divisa in due: una parte da primattore, un'altra da comprimario.

"Per sei annate su tredici sono stato un quarterback titolare in Nfl e, senza vanagloria, posso assicurare che non è da tutti. Poi, certo, gli infortuni hanno influito sulla seconda parte della mia carriera ma non butto via neppure gli altri anni, sono stato un ottimo back up ruolo che all'interno di un team ha anche il suo peso e mi considero tuttora onorato di aver fatto da back up a un signore chiamato Peyton Manning.

Tra le sue felici caratteristiche, negli anni ruggenti dei Redskins, la capacità chirurgica di trovare con lunghi lanci il ricevitore libero. Parabole che attraversavano il cielo per diverse yard per poi atterrare puntualmente nelle mani dei wr lanciati in touchdown.

Fa piacere essere ricordati, tecnicamente, così. Ma devo dire che ciò è dipeso molto dal tipo di gioco che adottava la squadra: il team aveva un running game molto buono e cosi usavo i lanci lunghi per sorprendere le difese perchè le secondarie dovevano coprire il gioco di corsa. Insomma, avevo una grandissima squadra, ma certo ci ho messo anche del mio...
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Cosa serve per essere un grande quarterback in Nfl?

Leadership, mentalità e atleticità. Aggiungo: oggi come oggi è fondamentale avere buone gambe per mettersi al riparto dalle difese aggressive e riuscire a condurre il drive.

Segue tuttora la Nfl?

Sì, sono nel ring of fame dei Redskins e un loro ambasciatore nel mondo, onorato di esserlo.

Chi sono per lei i migliori quarterback in attività?

Allora, se dovessi escludere quelli a fine carriera direi: Aaron Rodgers e Russell Wilson. Guardando in casa Redskins non mi dispiace RG III, nonostante stia vivendo periodi difficili a causa dei molti colpi che ha subito e sia parecchio discusso. Se invece comprendo anche gli altri dico che ai prmi tre posti ci sono Tom Brady, Peyton Manning e Drew Brees, i primi due, temo, molto vicini all'addio per raggiunti limiti d'età.

Il pronostico di un vincitore del SB...

Vedo i Green Bay Packers campioni. Avrebbero vinto anche lo scorso anno se non avessero combinato quella frittata a Seattle coi Seahawks. Con Rodgers alla guida per me sono i favoriti, poi, si sa, la Nfl è imprevedibile.
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Mark, affrontiamo un tema che le sta a cuore e che è legato al suo più grande dolore...

La perdita di mio figlio per malattia. Un momento terribile. Avevo un pensiero fisso: dovevo fare qualcosa per ricordarlo. Da lì è nata la Fondazione. Chi si trova in quelle condizioni, le loro famiglie, tutti devono sapere che non sono soli.

Lei ha una affascinante figlia, Angela, che gioca a football, le fa piacere?

Sì, sono felice che giochi a football, è un diritto anche per le donne poter praticare la disciplina sportiva che preferiscono. Ta l'altro lei e le sue colleghe giocano molto seriamente, con grande impegno e passione. Detto questo, amo le leghe femminili serie e non sopporto il cosiddetto Football Lingerie. Mi spiace, ma mettere le mutandine di pizzo e mostrarle in pubblico mentre si gioca a football non lo accetto assolutamente e per me svilisce anche le donne che lo fanno. Il Football Lingerie è fatto per un pubblico di bevitori di birra e sminuisce la fatica, le capacità atletiche e le attitudini delle ragazze che praticano il gioco. Ed è un vero peccato.
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A 53 anni ha una professione oggi?
Sono l'executive director della Fondazione.

Un "lavoro" che è una missione: aiutare chi soffre, un Super Bowl da conquistare ogni giorno, il trofeo più bello, Mark...

Non c'è cosa più importante per me. Mi do completamente a questa missione: anima e corpo.

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Alcuni episodi dei suoi giorni italiani contribuiscono a disegnare la personalità della ex stella di Washington. Li racconta a Playbook Riccardo Lonzar, bravissimo nel rinnovare ogni anno il suo Camp e nell'attrarre uomini Nfl di conclamato valore: "L'ultimo giorno del Camp si è presentato un cittadino canadese di origini triestino/istriane per fare delle foto ma non legate al football perche' i figli sono tifosi del calcio. Quando si è accorto che c'era Rypien la cosa si è trasformata in un momento fantastico: si è subito messo a disposizione e, prima ha cantato l'inno canadese con i bimbi, poi si è intrattenuto con l'italo canadese che sembrava un bambino al luna park, tanto era contento e sorpreso di trovarsi a tu per tu con una leggenda del suo Paese. Più o meno la stessa scena che si è ripetuta piu' tardi quando allo stadio Nereo Rocco (che il Comune ci ha gentilmente concesso) sono venuti i genitori di alcuni ragazzini americani che hanno partecipato al Camp (reso possibile grazie alla Regione Friuli Venezia Giulia) e che vivono alla base di Aviano. Con un particolare in più: uno dei papà di quei ragazzini non c'era perchè in Afghanistan con l'esercito americano, così Mark ha voluto fare una videochiamata con il cellulare della moglie del militare. Dovevate vedere la sorpresa del soldato e degli altri militari quando hanno scoperto che era Mark Rypien che li ringraziava per il servizio reso al Paese. Per finire, prima di partire da Trieste ha voluto visitare l'ospedale pediatrico e nello specifico il reparto di oncologia dove ha potuto parlare con i medici, si è intrattenuto a lungo con loro ed ha scambiato qualche parola con dei banmbini presenti nel reparto a cui ha lasciato foto autografate, cappellini del Camp ed altri ricordi. Il Camp, tra l'altro, ha effettuato una donazione, soldi raccolti tra tutti i partecipanti, certo, non moltissimo, ma è importante il gesto e ogni anche piccolo contributo". Complimenti Riccardo, Michele e Andrea. Effetto Rypien, un Campione con la C maiuscola.
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Nfl, il ritmo folle per un posto in squadra: tutto in 45 minuti, il racconto di Tavecchio

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ataqBisogna essere pronti. Sempre. Perchè la chiamata può arrivare all'improvviso. All'alba. O al tramonto. Senza neppure un piccolo, piccolissimo preavviso.

E' l'iper competitivo mondo della Nfl dove centinaia di atleti gareggiano per un posto in uno dei 32 team. "Lì c'è un ricambio continuo di gente, uno entra l'altro esce, ci sono così tanti ragazzi pronti, prontissimi, la differenza la fanno la continuità e gli infortuni", ci raccontava qualche tempo fa l'ex ricevitore di Patriots, Colts e Giants Tony Simmons (uno che ha giocato con Tom Brady, Bledsoe e Peyton Manning) spiegandoci quanto sia difficile non solo arrivare alla National football league, ma anche e soprattutto restarci. Ne sa qualcosa il milanese Giorgio Tavecchio che da quattro stagioni sta provando a ritargliarsi il suo spazio da kicker con grandissima umiltà ma, al contempo, identica determinazione. E che ha già indossato per lunghe preseason ma anche per poche ore ben sei maglie: San Francisco 49ers, Green Bay Packers, Cleveland Browns, Detroit Lions, Oakland Raiders, Houston Texans.

La scorsa settimana Giorgio ha vissuto una di quelle giornate esaltanti, adrenaliche, difficili che possono capitare soltanto a un professionista della palla ovale. La chiamata fulminea dei Texans a caccia di un kicker affidabile. Le valigie da fare in fretta con lo stretto necessario. L'atterraggio in un altro stato. La prova subito decisiva, determinante, con gente davvero forte. Il ritorno e il responso immediato. Dentro. O fuori. Con un sorriso di circostanza, nel secondo dei casi. Non semplice per nessuno. Figurarsi per un giovane.

Racconta tutto, con la consueta pacatezza il ragazzo italiano che non vuol saperne di rinunciare al suo sogno: "Dunque, mi hanno chiamato alle 14 di lunedì, sono salito sull'aereo alle 18, sono arrivato a mezzanotte, mi sono svegliato alle 6 di martedì, abbiamo fatto il workout verso le 9,45, poi pranzo insieme, quindi all'aeroporto alle 14, e il ritorno a casa alle 20 di martedì.

Direi che ho calciato abbastanza bene, ma sarei potuto essere piu`consistente nei calci con lo "snap-hold-e kick" (cioe` l'intera operazione) anche se ho fatto vedere tanta potenza. Abbiamo fatto 6 o 7 calci partendo da un XPT (33) fino a un calcio da 53. E abbiamo fatto 4 kickoff prima di tirare dei field goals. Due kickoff dritti, uno a sinistra, e uno a destra. La prova e` durata più o meno 45 minuti.

Lo stress e` un po diverso in queste prove perche` ti chiedono di fare lo snap-hold-kick completo, che e` difficile visto che non hai tempo di allenare e "misurare" il ritmo con l'holder (c'era il loro snapper e holder (punter) ). E inoltre devi cercare di andare alla velocità -partita da subito ed e` ovviamente difficile...ma essendo professionisti bisogna saperlo fare, poterlo fare...

Ho calciato abbastanza bene ma non mi hanno preso, alla fine hanno deciso di firmare un veterano, Nick Novak, che ha calciato davvero molto, molto bene. Ho avuto comunque un bel dialogo con i Texans e spero che qualcosa si presenti con loro anche nel futuro. Tutto sommato, sono molto grato della chiamata, anche se le ultime 36 ore sono state un po' incasinate- ma e` normale in questa gran avventura con il football professionistico di massimo livello.

Non ho sentito ancora altre squadre, non è detto ovviamente che non accada e intanto sto cercando di tenermi in forma comunque perchè, come avete visto, non si sa mai...e devi essere sempre pronto. Sempre".
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Il bivio del grande Peyton Manning dopo la sua folle domenica

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apeiLui è l'icona del football americano. Dici Peyton Manning e dici già tutto negli States, in Canada, in gran parte dell'America latina e ormai anche in Inghilterra e Germania, nella vecchia Europa dove il gioco dei touchdown è decisamente in ascesa. Un fuoriclasse assoluto, il quarterback - ruolo chiave di ogni team, un po' come il 10 nel calcio, l'attaccante e assieme il regista, l'anima del gruppo che tutti seguono con assoluta fiducia - da diciotto anni sulla breccia, sempre competitivo ma poco vincente (1 solo Super Bowl conquistato e altri 2 persi), un volto pulito e una vita irreprensibile. Un Campione con la maiuscola, insomma, che un destino beffardo ha scelto di prendere di mira consegnandogli, in una stessa giornata, paradiso e inferno sportivo, esaltazione e avvilimento, traguardo storico e, assieme, la peggiore prestazione di sempre.
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Con ordine. Pronti via e il numero 18 dei Denver Broncos nel match coi Kansas City Chiefs batte subito il record di tutti tempi per yard conquistate con i lanci: 71 mila 871. Gli basta una traiettoria breve (4 yard) per superare Brett Favre, che deteneva il primato. Roba da guiness dei primati in una disciplina durissima, che brucia rapidamente fisico e mente perchè fatta di contatti violenti ma anche di studio dell'avversario, strategia sofisticata, capacità e coraggio. Eppure, proprio nel match che lo oppone ai non irresistibili Chiefs di stagione, PM vive il suo black sunday. Un disastro che neppure un neofita. Da non crederci. Un incubo reale. Appena 5 passaggi completati su 20, soltanto 35 yard guadagnate, 4 volte intercettato dai difensori avversari. Una Waterloo, culminata con la panchina.
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Già, perchè il capo allenatore dei Broncos, Gary Kubiak, ad un certo punto, chiama fuori Manning sostituendolo con la sua riserva. Per manifesta incapacità. Mai successo prima. Così, in un breve lasso di tempo, Peyton passa dall'altare alla polvere. E scatena il coro di chi lo invita a lasciar perdere: causa età, 39 primavere segnate da tre delicati interventi chirurgici al collo, e conseguente usura.
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Tuttavia, nella giornata del record e della rovinosa caduta, il quarterback mostra ancora compostezza e fierezza. Nel post gara, davanti a una folla di microfoni non cerca scuse: "Sono molto dispiaciuto di aver giocato male, la mia prestazione ha contribuito alla sconfitta della squadra". E quando gli chiedono se dipenda da qualche infortunio risponde così: "Non so se sia dipeso dalle mie condizioni fisiche o da semplici errori di gioco anzi, forse propendo per questa seconda ipotesi".
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Chapeau, Peyton. Perchè poco dopo il suo coach decide di uscire allo scoperto rivelando che "il nostro quarterback non stava affatto bene e mi assumo le responsabilità della sua gara e della sconfitta coi Chiefs perchè ho sbagliato a farlo giocare, non dovevo schierarlo con questi problemi fisici". Non bastasse, lo staff dei Broncos diffonde poi un comunicato in cui si spiega che PM soffre di una forma acuta di fascite plantare che da qualche tempo ne limita anche la capacità di allenamento. Un problema serio per un atleta, che colpisce spesso giocatori di basket e calciatori e in qualche caso necessita di un intervento chirurgico. "E' un po' come camminare sugli spilli, causa dolore e insicurezza negli spostamenti, figurarsi per chi deve correre e sostenere duri impatti", hanno spiegato alle tv americane numerosi specialisti subito interpellati sul caso Manning.
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Peyton, insomma, stava male. E non giocherà il prossimo match con l'auspicio che la patologia che lo affligge regredisca. Ma non vuole mollare: "Sono sceso in campo perchè altri ragazzi non stavano bene e volevo aiutare la squadra, conto di poterlo fare ancora", ha aggiunto con aria mesta mentre il sempre numeroso popolo dei detrattori del giorno dopo dissertavano sul fatto che ormai sia finito.
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Chi ama lo sport e le sue migliori espressioni si augura che non sia così. E spera invece che Peyton Manning (figlio d'arte di una famiglia che mangia pane e football, con un fratello più giovane, Eli, 2 volte vincitore del Super Bowl con i New York Giants) possa presto scendere in campo e lanciare in touchdown i suoi attaccanti. Ancora un giro di valzer, insomma. Per smentire i corvi. E, magari, pareggiare il numero di Super Bowl conquistati dal "fratellino" Eli. Mai dire mai con Peyton Manning...
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La confessione di Manning: "Coach, sono al mio ultimo giro..."

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manmagE' stata una battaglia emozionante. Al di là delle simpatie di ognuno e delle appartenenze. Due grandi team che sono nella storia del football, due fantastici quarterback che sono già nella storia dello Sport con la maiuscola, due scuole tattiche e atletiche sopraffine, si sono confrontate sino all'ultimo drive. Ha prevalso Denver, per un soffio, resistendo alla furiosa e ostinata rimonta di New England. E alla fine del match ho colto, e non sono il solo, un apparentemnte inspiegabile velo di tristezza negli occhi di quel campione quarantenne (ma non è incredibile? Quarantenne...) chiamato Peyton Manning. Mi è sembrato avesse gli occhi lucidi e, abituato (da cronista) a cercare di carpire stati d'animo e notizie in ogni vicenda, ho pensato: sa che non tornerà più in quello stadio, in quella che è stata la sua casa negli ultimi stupendi quattro anni, da quando i "suoi" Indianapolis Colts lo hanno giudicato praticamente finito, distrutto nel fisico dai troppi colpi subiti e in quel magico braccio che per oltre un decennio aveva trascinato e inorgoglito l'Indiana. E' conscio che non lancerà più per il pubblico che lo ha restituito al football di massimo livello e lo ha elevato, da subito, a icona e idolo. Poi, mentre la notte avanzava inesorabilmente verso l'alba e il mio tablet mostrava un'altra partita, stavolta senza storia, tra i gasatissimi Panhters del gasatissimo Newton e degli arrendevoli e sconcertanti Cardinals, mi sono detto: è la tua immaginazione, in conferenza stampa Peyton era perfettamente lucido e sorridente, occhi allegri e voglia di sorridere ai giornalisti e al suo piccolo Marshall, tenerissimo ospite della press conference.

E invece no, non mi sbagliavo. Non me ne compiaccio. Vista la circostanza. Sì, Peyton stava salutando per l'ultima volta il pubblico del Colorado. E, per la penultima, la ragione della sua vita sin da piccolissimo: il gioco del football. Lo ha svelato il sito della Nfl, che ha colto il labiale del saluto finale tra il quarterback dei Broncos e il plurititolato coach dei Patriots, Bill Belichick. Il numero 18 gli ha sussurato qualcosa del tipo: "Sai, sono al mio ultimo giro, è stato bello confrontarsi con voi". E il guru dei Pats: "Sei un grande avversario". Confidenze e rispetto tra due rivali che si stimano nel profondo e si temono proprio perchè ognuno conosce le enormi potenzialità dell'altro. Accade lo stesso con Tom Brady. Ed è una gran cosa e un grande sentire questo rispetto tra rivali vero, profondo e mai mutato.

Ma tornando al cuore del problema quello che ogni autentico appassionato di questo sport temeva sta per accadere: uno dei suoi più grandi interpreti lascia. Certo, a quarant'anni, ma non si vorrebbe mai che accadesse perchè quando accade ognuno di noi si sente più vecchio e, talvolta, anche più solo. Sensazioni. Che poi scompaiono o che annegano nei ricordi. In verità Peyton è costretto a lasciare. Dall'incedere inesorabile degli anni e, conseguentemente, dal fisico che ormai dà chiari segni di cedimento, soprattutto per uno sportivo che pratica un gioco chiamato football americano.

Ma c'è ancora un'ultimissima cosa da fare prima di togliersi il casco, l'armatura, le protezioni, ripiegare la maglietta e svuotare l'armadietto col numero 18: giocarsi il Super Bowl contro i potenti Carolina Panthers dello strapotente Superman del football, il giovane e sempre sorridente Cam Newton.

Un ultimo giro prima di chiudere con la professione che è anche la passione della tua vita. Ed è immaginabile che Manning adesso, mentre scriviamo, abbia già liberato la mente da tutto quello che è differente dalla partita che lo attende e stia concentrandosi unicamente sulla gara di San Francisco (dove i Broncos scenderanno in campo con la divisa bianca, perchè porta bene avendo già vinto con quella divisa che vedete sopra queste righe, già pronta per Peyton con il logo del Super Bowl).

Una finale per la quale molti lo vedono sfavorito. Perchè è vecchio. Perchè ha perso forza nel braccio che prima disegnava traiettorie chirurgiche. Perchè non ha più la totale sensibilità delle dita della mano con cui impugna il pallone. Perchè la fascite plantare lo ha reso ancora più vulnerabile negli spostamenti. Perchè la difesa dei Panthers è forte, veloce e colpisce duro. Perchè nel complesso Carolina ha più armi di Denver che non può fare appello soltanto alla sua magnifica e coraggiosa difesa.

Tutto vero. O forse no. O forse, ancora, sarebbe più giusto dire che Peyton Manning ha già vinto il suo Super Bowl perchè è arrivato a giocarselo, a 40 anni, con quelle sinistre cicatrici dietro al collo figlie di tre delicati e rischiosi interventi per riparare guasti provocati da anni di colpi feroci e con le gambe e i piedi che fanno fatica a mettersi in moto e ad essere reattivi. Perchè competerà per il Vince Lombardi Throphy nonostante i soliti eccezionali critici del divano pronosticassero un tragicomico finale di carriera dopo una stagione con più bassi che alti.

Poi, magari, capiterà pure che sul campo i Panthers di SuperNewton avranno la meglio. Di poco. O anche di molto. Oppure no, PM ci regalerà l'ultimo capitolo di una storia a lieto fine dove vittoria e sconfitta si sono alternati come gioia e dolore, esaltazione e patimenti, gli ingredienti di ogni vita, piccola o grande.

Vissuta sempre con quella straordinaria dignità e compostezza, quella straordinaria misura e sobrietà, quella straordinaria voglia di riprovare dopo ogni caduta a rialzarsi, quella capacità che hanno solo i grandissimi di tracciare la strada e rendersi fonte di ispirazione senza mai eccedere che mi fa dire, al di là di ogni appartenenza, comunque sia, comunque andrà, grazie di tutto, Peyton Manning.
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Manning al bivio di Totti, la sindrome del campione 40enne

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Collage 1A molti lettori di questa rubrica non piace la contaminazione col calcio. Ma stavolta è inevitabile. Parliamo di Francesco Totti e di Peyton Manning. Sono entrambi (quasi) quarantenni. Entrambi campioni dei loro sport. Entrambi icone della loro disciplina. Ed entrambi fedeli alla maglia. Insomma, nei giorni in cui è deflagrato il caso Totti non si può non fare un parallelo con quello che rischia di diventare il caso Manning.

Già, il vecchio Peyton, appena pochi giorni fa autore di una favola reale, campione del mondo per la seconda volta in una stagione per lui disgraziata e infelice, infarcita da incertezze e infortuni.Eppure vincente. L'ultimo capitolo di una grande carriera. Per la seconda volta campione del mondo. Giusto così, abbiamo pensato in molti, ora Peyton dirà basta.

E invece no. Quel basta non è arrivato. Non ancora. E molti cominciano a pensare che non arriverà. Ho chiesto agli amici di questa rubrica cosa pensassero dovesse fare PM, risposta inequivocabile: smetterla qui.

Ma la cosa, a un tipo che pur di continuare è andato quattro volte sotto i ferri, ha il collo segnato da cicatrici, ha continuato a prendere botte nonostante braccia e gambe non siano più quelle di prima e non gli consentano di sfuggire ai linebacker avversari, viene terribilmente difficile da fare.
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E allora il finale di questa vicenda potrebbe non essere degno della favola appena vissuta a San Francisco. E anche qui torna il parallelo con Totti. Il suo club, infatti, ha deciso ma non ufficialmente annunciato, di non puntare su di lui per la nuova stagione. Ma PM ha un altro anno di contratto che prevede la bellezza di 19 milioni di dollari. Soldoni che i Broncos vorrebbero risparmiare e investire per blindare i contratti dei loro uomini migliori, difensori in testa.

E allora? Tra gli scenari meno spiacevoli, una rinegoziazione decisamente in basso del contratto e un utilizzo di Peyton da backup ma soprattutto da chioccia per far definitivamente decollare Brock Osweiler (difficile, realisticamente, che avvenga tutto questo).

E dunque va presa in considerazione anche la soluzione, non bella per la storia di club e giocatore, di un taglio deciso da parte di Denver. Con Peyton che magari cercherà (e sicuramente troverà, non fosse altro che per il merchandising) un altro sbarco in un team in Nfl.

Noi continuiamo a pensare, come molti di voi, che la sorte non vada irrisa e che il magnifico finale di carriera destinato a Manning con il Super Bowl debba essere rispettato.

Ricordiamo ancora l'ultimo, per certi versi drammatico, giro di giostra di Brett Favre che, dopo una stagione grandiosa nella quale era arrivato alle soglie del Super Bowl con i Vikings, si fece letteralmente pestare in quella successiva riportando un paio di traumi cranici e seri infortuni che lo tennero fuori per alcune partite e rischiando seriamente la sua incolumità senza dare neppure un consistente apporto ai Minnesota. Un disastro che non vorremmo rivedere.
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Ifl, filosofia Ault: il football come la vita, ti buttano a terra e tu devi rialzarti. Qui ai Rhinos ragazzi molto motivati

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Coach Chris Ault è un pezzo di storia del football americano. Un grande hc che molti identificano soprattutto con un tipo di attacco innovativo chiamato Pistol offense. Una sua invenzione. Un tipo di gioco che ha creato i qb della nuova era, quelli con le gambe svelte che vanno a chiudere il down e risolvono molte cose da soli. Vedi Colin Kaepernick. Giocatori di indubbio talento ma sempre discussi e a rischio. Proprio come il modello Pistol. Adesso coach Ault, carico di gloria e successi, è qui da noi, in Italia, per godersi il Belpaese e vincere, ancora, ma stavolta nella vecchia Europa. Con i Rhinos Milano, squadra in evidente crescita che punta a cucirsi lo scudetto sulla maglia. La partenza è stata positiva (in questo articolo potete vedere le foto di Chris a Bolzano per la prima stagionale, immagini di Giuseppe Fongaro, che ringraziamo) e le aspettative, inevitabilmente, adesso crescono per tutti i fan dei Rinoceronti.

Coach Ault, il campionato è iniziato con una vittoria dei suoi Rhinos Milano sul terreno dei Giants Bolzano, che aspettative ha un coach del suo livello e della sua prestigiosa carriera per il torneo italiano?
"Mi aspetto di migliorare ad ogni partita che disputeremo".
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Possibile tracciare un primo anche se parziale giudizio sulla Ifl?
"Mi piace il football ovunque ci siano giocatori di talento, giocatori di livello medio e giocatori motivati. E l'Ifl non è diversa".

In questi mesi di lavoro a Milano come ha trovato i ragazzi italiani, a che punto sono col football?
"Partono svantaggiati perchè non hanno giocato a football sin da piccoli, come invece capita da noi".

Differenze tra l'attitudine al gioco tra Usa e Italia?
"Beh, il football è davvero una metafora della vita: ti buttano a terra e devi rialzarti. Perciò, poco importa che sia Italia o Stati Uniti: tutto ruota intorno alla motivazione personale: e in Italia vedo molti giocatori motivati".
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Difficoltà incontrate sinora?

"In realtà non ce ne è una in particolare, anche perché vedo davvero i miei giocatori che vogliono imparare e distinguersi nel football".

Come reputa il livello dei giocatori americani in Italia?
"Posso soltanto parlare dei miei, poiché non ho mai avuto la possibilità di vedere anche gli altri. Ho reclutato e allenato Jonathan in Nevada, ed è speciale sia sul campo che fuori. TJ è un qb eccezionale e con un buon carattere".

È contento della sua scelta italiana?
"Sì, con mia moglie ci stiamo godendo al massimo la nostra esperienza di vita a Milano e, per quel che possiamo, cerchiamo di andare in ogni posto da vedere in Italia (e sono molti). Le persone sono così ospitali e gentili. Milano è una bella città che ha una storia lunga e affascinante. Mia moglie e io amiamo la storia".
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L'Italia è, sportivamente, ossessivamente calciofila. C'è spazio per affermare il gioco dei touchdown?

"Se gli italiani sapranno apprezzare il divertimento, la strategia, l’energia e la grande sportività del football americano, allora continuerà a crescere l’interesse della gente verso questo sport. Ma il tasso di crescita in Italia e nella maggior parte delle città europee è certamente limitato. Questo è in parte dovuto al fatto che i media non danno spazio al gioco forse perchè non lo comprendono a fondo, il che è anche comprensibile data la lunga tradizione di calcio".

Intanto a maggio darà lezione di football con un altro grande, coach Mike Leach.

"Sì, i I Rhinos Milano, col patrocinio della Fidaf, hanno organizzato l’ "NCAA LEGENDS FOOTBALL CLINIC", con me e con Mike, head coach dei Cougars di Washington State, il 13 e 14 maggio. Ogni dettaglio è sulle pagine social dei Rhinos. Amo il football e amo parlarne e diffonderne tecniche e valori, sarà una occasione in più".

Come va la Pistol offence coi Rhinos?
“La Pistol offence prevede transizioni rapidissime e automatismi oliati al massimo. Adesso sta già andando bene con i Rhinos e mi aspetto che, con un paio di partite alle spalle, andrà ancora meglio".

Torniamo a parlare del suo pupillo Colin Kaepernick.

"Kap è un giovane straordinario e ben motivato. Gli ultimi due anni sono stati molto duri per lui, perché credo che non ci si sia capiti riguardo la filosofia offensiva dei Niners. So che al momento è difficile ma spero che rimanga coi Niners perché sento che Chip Kelly sarebbe ottimo per Kap. Ma vi ripeto, come già dissi a Playbook in una precedente intervista: non scommettete contro di lui, è un duro competitore e non si arrende mai".
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Si aspettava il successo dei Broncos sui favortiti Panthers?

"Sì mi aspettavo che i Denver vincessero il Super Bowl, anche perché due dei miei ex giocatori stanno giocando per loro, il TE Virgil Green e l'ILB Brandon Marshall. Stavo per loro, non avevo avevo scelta..."

Peyton Manning, dopo un breve tentennamento, ha smesso. Un finale da favola per lui.
"Penso il massimo su Peyton e ho un grande rispetto per lui. Mi aspettavo che si sarebbe ritirato quando sarebbe stato al massimo della sua gloria sportiva. Quindi, proprio adesso".

Chi sosterrà nella prossima Nfl coach Ault?
"Facile. Andy Reid e l’intera organizzazione dei Chiefs sono il massimo. Ho lavorato molto bene con loro prima di venire qui in Italia. Quindi dico: The Chiefs. E chi altri?".

Un campione Nfl a Firenze, Forsett: "Voglio correre sino al Super Bowl coi Ravens"

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C'è una  ventata di aria nuova nella Italian football league. E di entusiasmo. Ha l'accento toscano dei Guelfi Firenze, appena sbarcati nella nostra serie A, la Ifl. Team già competitivo nonostante le sconfitte delle prime giornate, dazio da pagare a una categoria superiore. E soprattutto gente che sa di football, appassionata e concreta. Al punto da metter su un camp con un campione della Nfl tuttora in attività: il running back dei Baltimore Ravens Justin Forsett. Il corridore è in riva all'Arno a insegnar football in questo fine settimana pasquale. Un'occasione - rara - per parlare con un giocatore della National football league di un top team che si trova per qualche  giorno in Italia. Di seguito la sua intervista e un grazie a tutto lo staff dei Guelfi per aver agevolato al massimo e reso tempestivo questo colloquio. E a coach Matteo Dinelli per averci invitato.

Benvenuto in Italia Justin Forsett, lo scorso anno sul più bello una frattura a un braccio ti ha fermato. Come stai oggi, sarai pronto per i primi allenamenti dei Ravens?

L'Italia è bellissima e io sono onorato di trovarmi a Firenze. Ho postato anche alcune immagini di questa città fantastica e carica di storia. Spero di poter essere utile ai ragazzi fiorentini e a quelli che saranno qui da altre parti d'Italia anche se mi fermerò per poco tempo; mi auguro  di riuscire a migliorare il loro approccio al football. Riguardo le mie condizioni fisiche direi che sta andando bene il recupero del braccio infortunato. Confido in un paio di settimane di aver recuperato del tutto e di essere in grado di allenarmi al cento per cento.

A proposito della tua carriera,  rileggendola appare evidente una forte crescita personale in termine di yard corse, lanci ricevuti, down conquistati e td realizzati negli ultimi due anni. Proprio quelli in maglia Ravens. E’ frutto di un lavoro specifico fato con coach Harbaugh, o c'entra anche qualcosa che è scattata in te e ti ha fatto rendere finalmente ad alto livello con tale continuità?

Sinceramente direi che si tratta di una combinazione di entrambe le cose. Sicuramente c’è tanto duro, durissimo lavoro dietro i progressi. Un lavoro fatto negli anni e che poi magari manifesta i suoi risultati solo in un certo determinato momento. Ma c'è. E poi, sì, coach Harbaugh ed i Ravens mi hanno dato una chance. Era quello che volevo. Era quello che cercavo.

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Parlaci dei Ravens, Justin, e del tuo rapporto con coach Harbaugh, ritenuto uno dei migliori tecnici nel mondo del football professionistico.

I Ravens sono una splendida squadra e una efficentissima organizzazione. Nello staff c'è grande leadership ad ogni livello. Sono tutti bravissimi e molto competenti: dall'ultimo degli assistenti fino a coach Harbaugh e tutto lo staff di prim'ordine che ruota intorno a lui. Il coach è un motivatore eccezionale e un uomo che sa di sport come pochi.

Il vostro quarterback, Joe Flacco, di origini italiane, abruzzesi, è considerato uno dei migliori, subito dopo i mostri sacri Brady, Manning, Brees.

Joe Flacco è un grande quarterback e in ogni campionato dimostra le sue qualità tecniche e da leader. E’ grandioso conoscerlo, giocare con lui e guardarlo guidare questo team. Per me in assoluto è tra i più forti.

Qualche previsione sulla nuova stagione?

Mi spiace ma odio fare previsioni, tuttavia è inutile negarlo: il nostro obiettivo è ovviamente il Super Bowl.

Quali sono le caratteristiche principali di un running back Nfl?

Velocità, forza e resistenza fisica. Tre componenti che devi avere assolutamente per stare a questi livelli. Tutte e tre...

Justin, in assoluto invece, a un giovane che volesse avvicinarsi al gioco e ti chiedesse quali sono le caratteristiche per entare nel mondo del football, che diresti?

Direi sicuramente: una grande forza di volontà, la capacità di comunicare con i tuoi compagni di squadra e quella di essere mentalmente pronto e forte abbastanza per affrontare i tuoi avversari.

Proviamo a convincere i genitori italiani a far giocare i loro figli a football. Cosa direbbe loro il running back dei Baltimore Ravens ?

Direi che è un gioco divertente, prima di tutto. E poi che inizi a vivere quel senso di sfida con gli altri che bene o male prima o poi dovrai affrontare nella vita. E quindi è meglio che lo affronti nel modo corretto, con regole precise e una disciplina ferrea. E ancora: direi che impari a diventare un tipo tosto e ad allenare le tue capacità di leader, ma impari anche a coltivare il tuo essere sociale, a comunicare al meglio con i tuoi compagni di squadra, ad aiutarli e ad essere aiutato e a imparare molto l’uno dall’altro.

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C’è una tragedia che è capitata recentemente alla tua squadra: il giovane cornerback Tray Walker ha perso la vita nella notte di Miami. Secondo la ricostruzione della polizia andava in moto a forte velocità, senza casco e coi fari spenti quando è stato centrato e ucciso da un camion. Vuoi parlarcene? Come vuoi che Tray sia ricordato?

Tray...Un dolore grande. E’ certamente una tragedia. Tray era un fantastico ragazzo e un giocatore con tanto, tanto talento. E tanto talento è stato portato via troppo presto. E’ stato un grande dolore per me, devo ripetermi. Siamo stati tutti molto male per questo. Io e Tray, poi, avevamo passato molto tempo assieme. Una tragedia. Auguro alla sua famiglia di avere la forza per superare tutto questo. Per me, per noi, è così infinitamente triste che Tray se ne sia andato.

Dopo questa morte coach Harbaugh ha scritto di getto una lettera aperta a tutta la squadra. Ha usato parole molto toccanti e ha invitato tutti a prendersi sempre cura l'uno dell'altro.

Sì, il coach ci ha scritto e condivido in pieno la sua visione delle cose. La morte di Tray ha aperto a riflessioni ampie sull'esistenza, come accade in certi casi. La vita non è soltanto football e dobbiamo prenderci del tempo per i nostri affetti e amarci l’un l’altro, perché non potrai sapere quando qualcuno se ne andrà. Si deve quindi esser felici per i momenti che ci vengono donati, da trascorrere con i nostri affetti. E' importante non dimenticarlo.

Justin adesso sei un giocatore di 30 anni, un'età non più giovane per un atleta e specialmente per un running back della Nfl: cosa vedi davanti a te, per quanto tempo vuoi continuare a giocare ancora?

Voglio giocare. E voglio giocare fin quando il mio fisico sarà in grado di permettermelo. Sento di poter dare ancora molto. E mentalmente sono pronto ad accogliere la sfida di nuove stagioni in campo.

@jmarino63

g.marino@repubblica.it

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Haines, il nomade del grande football: "Montana e Brady il top, Steve Young da dimenticare, Odell Beckham non è un big, meglio Brown e Smith perchè il wr non si giudica solo dai touchdown..."

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13815059_10210345334819368_329036036_nKris Haines ha un sorriso contagioso, un ottimismo e una visione positiva che rallegra e infonde fiducia e una storia, nel football, da talentuoso nomade. Un lungo percorso che lo ha portato a fare davvero tante interessanti esperienze. Parlare con lui del gioco dei touchdown è, assieme, interessante e sorprendente. Da ex ricevitore ha una visione molto profonda del ruolo e per nulla banale. E così anche delle attuali stelle della Nfl. Niente di stereotipato insomma. E grande franchezza anche nel giudizio sui big del passato e del presente. Gli abbiamo parlato nei giorni dell'American bowl camp di Trieste, creatura del trio Lonzar, Ciak, Spagnoletto, una certezza, ormai, nel panorama italiano ed europeo, per chi vuole imparare qualcosa dai grandi che hanno calcato i campi della National football league. Un appuntamento imperdibile per chi ama questa disciplina e per i giovani che vogliono crescere in particolare. Tanti, come sempre in questi casi, gli argomenti toccati con Kris, partiamo...

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Kris, raccontaci la tua movimentata carriera e iniziamo dal college dove con un giovane chiamato Joe Montana avevate una bella intesa.

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"Allora, sono arrivato a Notre Dame dopo una buona anzi ottima carriera all'high school dove oltre che  ricevere, correvo. Joe ed io eravamo compagni e amici e ci allenavamo anche da soli, io e lui e basta, per aumentare l'intesa. In quel periodo abbiamo fatto grandi cose e la nostra ultima partita al college l'abbiamo vinta assieme a tempo scaduto, indimenticabile. Non solo per me... era il Cotton Bowl. Tutti e due siamo stati inseriti nella Cotton Bowl Hall of Fame. Un grande onore. Ne sono fiero E poi al college ci siamo divertiti un sacco perchè se io sono un tipo allegro ed estroverso e guardate che Montana non è da meno. Magari non sembra ma ve lo giuro, non è da meno".

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Sinceramente, pensavi già al college che Montana sarebbe diventato una leggenda dello sport mondiale?

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"Dunque, faccio una premessa: nessuno si aspettava che Joe andasse verso una carriera stellare nella Nfl, un percorso, come giustamente dici tu, assolutamente leggendario per lo sport tutto. Ripeto: nessuno. Ma io sì. Ho visto subito in lui quel carsima, quella carica agonistica che solo pochi hanno. Come dicevo prima ci allenavamo anche da soli , qb e wr, lanci e tracce, sintonia e connessioni. Joe è stato un giocatore unico perchè sapeva tenere sotto controllo la situazione anche quando la situazione sembrava precipitare e non si faceva mai prendere in contropiede. Dico mai. Capito perchè lui è  e sarà per sempre Joe Cool?".

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Perchè la tua carriera in Nfl non è mai decollata in Nfl dopo high school e college così positivi?

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"Per un dannato infortunio. Un grosso rimpianto per me non aver giocato da integro in Nfl. Tra l'altro ci ho rimesso anche la pensione della National football league. Comunque, tutto bene fino al draft con i Washington Redskins, poi venni ceduto ai Chicago Bears dove fui protagonista di una ottima preseason ma quasi subito in partita un brutto infortunio al ginocchio mi fece finire nella injury list. Dopo vari mesi mi tagliarono, non ero ancora pronto col ginocchio e Mike Ditka decise così. In quel momento nasceva la Usfl e venni preso subito. Ho giocato nella Usfl per i Chicago Blitz e gli La Express e per un breve periodo con i Denver Gold. Ho fatto ottime cose nella Usfl ed avrei potuto farle anche nella Nfl se mi fosse stato consentito... Poi ho fatto un anno nella Cfl, subito dopo la fine del Campionato Usfl, in quell'anno giocai quasi 30 partite. Rientrai, ma fugacemente nella Nfl durante lo sciopero del 1986 con i Buffalo Bills di Marv Levy che mi aveva allenato nella Usfl. Grande allenatore. A quasi 30 anni (un'eta' notevole per un wr anche a quei tempi) decisi di appendere il casco al chiodo.  In 3 anni di Usfl ho fatto 121 ricezioni per 1697 yards e 10 td's oltre ad 1 intercetto come defensive back; nella Cfl 16 ricezioni per 223 yards e 2 td e una media ben oltre le 10 yards per ricezione in tutta la carriera. Ma resta il rimpianto per la Nfl, quello sì".

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Cosa fai adesso?

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"Attualmente insegno in una scuola e alleno una squadra di high school; ma sono stato anche allenatore nella Xfl (Lega di football gestita dalla Wwf wrestling) con i Chicago Enforcers".

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E sei un punto fermo dell'American Bowl Camp di Trieste e si deve anche ai tuoi buoni uffici il "colpo" Montana messo a segno da Riccardo Lonzar, Michele Ciak e Andrea Spagnoletto...

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"Assolutamente sì, amo il camp e Trieste, mi trovo a meraviglia con Riccardo, Michele e Andrea e tutto lo staff e sì, è stato bello avere qui anche Joe. Lui è un intrattenitore nato, non ci credereste, fa battute in continuazione, racconta aneddoti e io non mi sottraggo di certo. A cena dopo il camp, a Trieste, con Joe mi è sembrato di tornare ai tempi del college, davvero serate indimenticabili: eravamo in tanti e il mitico quarterback che ha fatto grandi i Niners era in una forma strepitosa, umorismo, buon cibo e amicizia, il massimo insomma".

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Segui ancora la Nfl? Qual è la tua squadra del cuore?

"Certo, seguo e tifo per i Chicago Bears".

Pronostico per la nuova stagione?

"Con tutti i draft, le trade e le free agency e la variabile infortuni le squadre cambiano cosi tanto che è impossibile fare un pronostico".

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Parliamo del tuo ruolo, ricevitore, si fa un gran parlare di Odell Beckham dei Giants.

"E invece a me non piace granchè. Vedi, io intendo il ruolo di wr anche dalla qualità dei bloccaggi sulle corse e delle tracce eseguite pure quando non sei il bersaglio principale ma occorre che tu  faccia e bene la tua traccia per aprire lo spazio al compagno prescelto per il lancio. Il ricevitore è un ruolo completo, non è solo spettacolo ma molto, molto di più. Ripeto: per essere un buon ricevitore oltre ad avere un buon quarterback devi possedere le qualità per bloccare e per far ricevere gli altri perchè un wr non è solo le yard che prende e i touchdown che fa, ma i blocchi che esegue con successo e le tracce che corre per allontanare i difensori e far prendere il pallone ad un compagno. Questo tipo di ricevitore fa davvero la differenza in una squadra e non l'acrobata occasionale...Certo, resta fondamentale avere un buon qb".

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E tu hai giocato con qb niente male...
"Joe Montana a Notre Dame, Steve Young in Usfl, Joe Theismann a Washington, e ricordo anche Vince Evans, un buon quarterback che ha giocato 15 anni nella Nfl e 3 nella Usfl".
Hai un buon ricordo di tutti?
"Quasi tutti...diciamo che di Steve Young no e fermiamoci lì". (Ndr: sarà una coincidenza ma praticamente tutti i professionisti Nfl passati per Trieste non dicono niente di buono dell'ex asso dei Niners...evidentemente, nonostante le sue qualità da fuoriclasse non deve avere lasciato un buon ricordo tra i suoi compagni e in generale nell'ambiente dei giocatori).
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Proviamo a fare una classifica dei migliori wr del passato e di oggi?
"Ok, parto, ma col mio parametro che ti ho spiegato prima: Paul Warfield, Jerry Rice, Charlie Joiner, Steve Largent e Randy Moss alla pari con Calvin Johnson. Ma ce ne sono altri che per altri motivi potrebbero essere elencati. Oggi i migliori sono Steve Smith, Antonio Brown, Demaryius Thomas, Larry Fitzgerald e AJ Green alla pari con Julio Jones".
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E ora andiamo coi qb, Kris.
"Joe Montana, Peyton Manning, Brett Favre, Dan Marino e John Elway. Oggi: Tom Brady, Drew Brees, Aaron Rodgers, Ben Roethlisberger e Russell Wilson".
Come vedi il futuro per il football in Europa e in Italia in particolare?
"Questo camp mi è sembrato il migliore per consistenza e per numero di atleti, ben assortiti in ogni reparto, inoltre i coach europei sono sempre più preparati e quando sono qui a Trieste dimostrano di essere cresciuti e di conoscere questo gioco sempre meglio. Quindi, visto che ogni anno sono qui in Italia ho certamente fiducia nello sviluppo nel football americano anche da voi, assolutamente sì".

Paul Allen, il miliardario filantropo che fece grandi i Seahawks

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Paul AllenCon i suoi soldi ha salvato molte vite, non la sua. Paul Allen, miliardario americano con il cuore e la testa aperti alla vita, se ne è andato il giorno dopo che i suoi Seahawks avevano dato spettacolo in quel di Londra. Se glielo avranno detto, siamo sicuri che avrà sorriso. Il co fondatore di Microsoft ha perso una guerra ingaggiata molti anni fa contro un avversario vile e micidiale. E' già un successo che sia riuscito a prolungare la battaglia per così tanto tempo.

Lascia molti amici, tante persone riconoscenti e un modello di vita che dovrebbe ispirare tutti coloro che hanno enormi possibilità economiche. Perchè Paul Allen non si negava nulla: aveva tutti i beni di extra lusso che potete immaginare, era proprietario di due squadre professionistiche, amava la bella vita e la chitarra, ma era anche e soprattutto capace di dare. Agli altri. Non si contano le generose donazioni per chi soffriva o per aiutare la ricerca in vari campi.

A Seattle ha semplicemente cambiato la storia del football. I Seahawks stavano per essere trasferiti in California ed erano praticamente in bancarotta quando è arrivato lui. Poi, è stata tutta un'altra musica. Da comprimaria la squadra è diventata protagonista della Nfl, il suo stadio si è trasformato in un tempio della passione sportiva (l'urlo dei tifosi, è stato calcolato più volte, produce onde simili a quelle di un terremoto...); è nato il dodicesimo uomo, la celebre bandiera che esalta i fan dei falchi marini; sono arrivate tante vittorie, tre partecipazioni al Super Bowl e un successo da ricordare contro i Denver Broncos del favoritissimo Peyton Manning.

"Paul Allen è stato la forza trainante per mantenere la Nfl nel Pacifico nord-occidentale", ha dichiarato in una nota il commissario della National football league, Roger Goodell. "La sua visione ha portato alla costruzione di CenturyLink Field e alla creazione di una squadra vincente. L'innalzamento della bandiera del dodicesimo uomo all'inizio di ogni partita casalinga  è stato l'omaggio di Paul alla straordinaria base di fan nella comunità di Seattle.La sua passione per il gioco, unita alla sua tranquilla determinazione, ha portato a un'organizzazione modello fuori dal campo. Ha lavorato instancabilmente insieme ai nostri consulenti medici per identificare nuovi modi per rendere il gioco più sicuro e per proteggere i nostri giocatori da rischi inutili. Ho personalmente apprezzato il consiglio di Paul su argomenti che vanno dalla contrattazione collettiva alla tecnologia perché Paul Allen ne ha fatto parte e l'intera Nfl invia le sue più sentite condoglianze per la perdita".

Amava la vita in tutte le sue declinazioni, Paul Allen. E amava il suo prossimo. Nei suoi tour turistici ha toccato più di una volta Napoli e la Campania. L'obiettivo di Riccardo Siano lo sorprese nel cuore antico di Napoli mentre andava da Michele ai Tribunali con il suo ex socio Bill Gates (Fotogalleria e servizio di Ilaria Urbani qui);  e tre anni fa, poi, venne premiato a Ischia proprio per la sua filantropia (Fotogalleria e servizio di Pasquale Raicaldo qui). In quell'occasione disse: "Orgoglioso di aiutare a risolvere i problemi del mondo". Perchè Allen era sempre animato da ottimismo e voglia di tentare nuove strade per aiutare gli altri. Un atteggiamento, un modo di stare al mondo, che lo ha accompagnato sino alla fine.

Con Lorenzo Ruggiero, autore del disegno che vedete, vogliamo ricordarlo in un momento felice, mentre solleva il Vince Lombardi Throphy, nella notte magica dei Seahawks, i "suoi" Seahawks campioni del mondo.

Giovanni Marino
@jmarino63
g.marino@repubblica.it